Viaggio ad Aruba, ma scordatevi i fenicotteri

Tramonti ipnotici, un parco pieno di sentieri orlati di cactus e piscine vulcaniche, immersioni al cardiopalma tra relitti e tartarughe, sport acquatici e la spiaggia più bella dei Caraibi: Aruba ha dalla sua ottimi argomenti per meritarsi una vacanza tra le sue acque cristalline. Non da ultimo il fatto che il clima è mite tutto l’anno e, essendo fuori dalla rotta degli uragani, è benedetta da giornate soleggiate e piogge scarse che, quando occasionalmente ci sono, vengono salutate dagli abitanti come “liquid sunshine”.
Sarà per questo che la chiamano “One Happy Island", oppure perché il business, che si regge per il 90 per cento sul turismo, ha portato la disoccupazione a livelli bassissimi e un generale benessere sull’isola.
Vuoi per questo, vuoi per il clima, la sensazione di serenità che si respira ad Aruba pervade chi arriva non appena si mette piede fuori dall’aeroporto e si viene accolti da un “Bon dia” o un “Bon bini", ovvero buongiorno e benvenuto in Papiamento, la lingua parlata sull’isola che è un mix di spagnolo, portoghese, olandese e inglese e che in parte è specchio della storia dell’isola stessa.
Colonizzata per la prima volta dalla tribù Arawak del Venezuela (che dista solo 15 miglia in linea d'aria) e dagli indiani Caiquetio in epoca precolombiana è stata annessa alla Spagna nel 1499 per poi essere occupata dagli olandesi nel 1636 e rimanere parte delle Antille Olandesi (insieme alle vicine isole di Curaçao e Bonaire) fino al primo gennaio 1986, quando si dichiarò indipendente pur restando un membro autonomo del Regno dei Paesi Bassi.